privacy
PALADONE

Ecco, un’altra notizia che rientra nella densissima e sempre attuale categoria “Piove, governo ladro”. La miscela esplosiva è così semplice che non serve nemmeno sforzarsi a cercarla nel dark Web: si prende un brand cinese; lo si accusa di violazione dei diritti di base e cospirazione; si condisce con qualche dato indiziario; si cucina il tutto su una testata blasonata. Il piatto è servito, l’alzata di scudi tra le parti alimenta la fragranza (o il fragore) di questa portata succulenta, gli utenti danno vita al clamore atteso risvegliando i sensi dal confortevole letargo. E così torna in auge la privacy. Questa parola tanto diffusa che se solo la metà delle persone che la scrivono o la pronunciano fossero davvero preoccupati della loro riservatezza, probabilmente si cancellerebbero seduta stante dai principali social network.

Invece no. L’accusato di turno è Xiaomi, reo in pubblico ludibrio su una testata prestigiosa. La quale ha scoperto che sugli smartphone del brand cinese avviene un tracciamento in background dei dati di navigazione e di utilizzo dello smartphone. Forbes, il giornale che ha fatto lo scoop (inesistente), sostiene di avere individuato e tracciato i comportamenti sospetti del dispositivo mobile, compreso il server su cui sono adagiati i dati così rastrellati. Il fatto in questione non è tanto sulla raccolta, quanto sul fatto che non è garantita la forma anonima di queste informazioni. Insomma, per farla semplice, ogni sito web visitato, per esempio, può essere assegnato all’utente specifico.

Nella prima istanza, la risposta di Xiaomi è stata un po’ rabberciata. Sostanzialmente, leggendola, si ammetteva il tracciamento ma senza violare gli schemi previsti dalle regolamentazioni dei vari Paesi. Un tracciamento etico, per dirla così, che si trincera dietro sul concetto del “fanno tutti così”. Impossibile, in effetti, negare che qualsiasi forma di raccolta dati avvenga su qualsiasi dispositivo che utilizziamo e con qualsiasi app o piattaforma ci affidiamo. È un dato di fatto, avviene da anni e continuamente.

La privacy nascosta nell’attivazione

Vi siete accorti che ogni volta che installate o attivate qualcosa dovete accettare le condizioni di utilizzo? Vi siete mai messi veramente a leggerle? Vi siete mai chiesti quale contratto state perfezionando nel momento in cui attivate un account o digitate la vostra mail? Vi sete davvero mai posti il problema del fatto che quando caricate una foto o un video su una piattaforma multimediale, questi contenuti possono entrare a far parte del diritto di copyright della stessa? Sapete cosa è il copyright? Ma, soprattutto, sapete che voi stessi siete i primi a rinunciare alla vostra privacy per qualche like, qualche momento di edonismo o, alla mal parata, l’equivalente di una barretta al cioccolato di bassissima qualità?

I servizi che utilizzerete, adesso quando magari deciderete di condividere questo pensiero sui social, si fondano su uno scambio: sono gratis ma vi tracciano; lo scopo in molti casi è alimentare la raccolta pubblicitaria (che paga il vostro servizio). Dovreste preoccuparvene ogni volta che su Facebook decidete di condividere cose intime (dai lutti, alle serata con gli amici, all’opinione politica fino alla presa in giro), perché rientrano nel vostro dossier virtuale. Virtuale ma realissimo, dato che per una frase o una parola mal posta sui social, sempre Facebook per rimanere in tema, ci si può prendere nel momento sbagliato, con la persona sbagliata, un’accusa di diffamazione (per la cronaca, descritta nell’articolo 595 del Codice Penale).

Attraversiamo l’Oceano. Dovreste preoccuparvi della vostra riservatezza ogni volta che attivate un prodotto di Apple: non è un caso che la voce Analisi e Miglioramenti (con cui la società e “gli sviluppatori di app a migliorare i propri prodotti e servizi automaticamente”) si possa disattivare nella sezione “Impostazioni/Sicurezza e Privacy”. Leggiamo insieme cosa fa la funzione “Condivisi analisi Mac”: “Aiuta Apple a migliorare i propri prodotti e servizi inviando automaticamente dati di diagnosi e utilizzo. I dati di diagnosi e utilizzo potrebbero includere le posizioni geografiche”.

Non è una crociata contro Apple. Anzi non è una crociata contro nessuno. Ma, visto che si punta sempre il dito sui brand cinesi, sarebbe più interessante ampliare il discorso anche a quelli di altri continenti. Tracciare l’utente è una prassi consolidata nel tempo, sparita dal radar di sensibilità e preoccupazione delle persone, data per assodata e ormai trasparente, ineluttabile (come direbbe Thanos agli Avengers).

Il tracciamento e l’utente

Dunque, la difesa iniziale un po’ inconcludente di Xiaomi è stata corretta e rafforzata dal post in cui ha pubblicato in chiaro tutte le informazioni necessarie per comprendere come sia di fatto indolore e anonima la raccolta. Fanno anche ridere i commenti degli utenti, tutti modulati sul concetto del “fanno pagare poco i prodotti, ecco spiegato il perché”. Sono frasi puerili, davvero. Solo che alimentano fake news e letture sbagliate della situazione.

Se la privacy fosse un problema sentito come prioritario da questi stessi utenti, leggerebbero tutti i contratti di licenza che scandiscono l’attivazione di qualsiasi dispositivo mobile. E dubito che darebbero parere affermativo, rendendo di fatto inutilizzabile il prodotto perché, in molti casi, non farebbe nemmeno la prima attivazione. Alzi la mano chi ha guardato nell’ultimo mese (o trimestre) la funzione “Privacy/Gestisci autorizzazioni” per scoprire quali funzioni del telefono sono veramente utilizzate dalle app e in che modo queste ci tracciano. Rimarreste sorpresi nel sapere che alcuni dei giochi free tra i più diffusi accedono ai vostri contatti e agli Sms?

Ogni servizio monitora i nostri comportamenti, lo fa per fornirci suggerimenti adeguati alle nostre abitudini, per supportare lo sviluppo di aggiornamenti e update, per capire come sono usati i prodotti, per aggregare big data su malfunzionamenti hardware e software, per supportare il funzionamento di app fondamentali (da quelle di navigazione fino a WhatsApp) e per scopi pubblicitari. Il monitoraggio è alla base dei principali social network, ma anche quando ricevete dallo smartphone news e suggerimenti intonati al vostro gusto e alle modalità di utilizzo del dispositivo. Anche le piattaforme che promettono di mantenere la privacy, attenzione, tracciano gli utenti. Ma essere tracciati non è di per sé equivalente a dire che sia stata violata la privacy.

La privacy esiste se i dati sono anonimi

Si viola la privacy, la facciamo breve, quando si abbinano dati sensibili e privati alla specifica persona; oppure quando si entra in possesso di informazioni personali senza l’autorizzazione del soggetto. In Europa il Gdpr regola strettamente queste casistiche, infatti i tracciamenti che avvengono su tutti gli strumenti hardware e software connessi che utilizziamo sono eseguiti in forma anonima. E questo è garanzia di privacy. O dovrebbe esserlo, perché poi se i dati sono ospitati su server offshore è più difficile da dimostrare. Oppure, se si autorizza espressamente all’uso di queste informazioni (sono sempre i contratti a cui ci si dichiara d’accordo in fase di attivazione del dispositivo, dell’app o della piattaforma) allora non ci si può poi lamentare. “La verità vi renderà liberi”, disse Gesù agli Apostoli.

Abbiamo davvero perso il controllo sulla nostra privacy?

La verità nel nostro caso è la conoscenza dei termini che regolano la privacy di utilizzo di tutto ciò che ci circonda. Più che chiedere ai brand di sopperire a vostre mancanze conoscitive spesso derivate da un approccio empirico alimentato da suggestioni e dal “sentito dire” (le aziende fanno il loro lavoro, ossia vendere prodotti nel rigoroso rispetto delle leggi vigenti con l’obiettivo di generare fatturato anche per pagare i dipendenti), voi dovreste essere attenti a ciò che condividete e a come usate gli strumenti. E non barattare cinque minuti di celebrità per pubblicare una informazione con cui voi stessi violate la vostra privacy, sovente in modo eclatante.

Ai brand chiediamo più sforzi in termini di trasparenza per capire sempre meglio e con più dettaglio come e cosa tracciano, oltre alla garanzia che sia tutto fatto in forma anonima. Senza dimenticare che molte aziende offrono addirittura risorse ad hoc per aiutare l’utente nella protezione della propria sfera personale. In ogni caso, la prima linea difesa dei vostri diritti siete voi. Anzi. Tu che stai leggendo: non aspettare articoli sensazionalistici basati su una non notizia per amplificare la tua sensibilità sull’argomento privacy, diventa parte attivo della difesa quotidiana. Come? Primo passo, non dare nulla per scontato.