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Anche la Grande distribuzione americana, con i top player del retail organizzato, si trova nella morsa di Wall Street. La piazza borsistica di riferimento su scala mondiale ha fatto segnare (ieri 19 maggio) la peggior seduta dal giugno 2020. Un “mercoledì nero”, anziché da leoni, che ha visto abbattersi soprattutto sui titoli quotati al Nasdaq (cuore pulsante delle aziende hi-tech) una tempesta di ribassi. La causa? Ovviamente, l’inflazione con il suo galoppare, nonostante le prime contromisure adottate dalla Fed (la banca centrale Usa) con un rialzo dei tassi di interesse. Una decisione che a breve (sostengono tutti gli analisti) verrà ribadita con un ulteriore ritocco all’insù.

La Grande distribuzione e il calo dei consumi

Il peso dell’inflazione si sta facendo sentire sui titoli della Grande distribuzione a stelle e strisce: le trimestrali lo hanno certificato. Il gruppo Target è sprofondato del 25%: il profitto di dopo superiore ai 2 dollari per azione non ha soddisfatto gli investitori, avendo come aspettativa la soglia dei 3 dollari. Male l’andamento anche del colosso dei supermercati Walmart, mentre Lowe’s, la catena di negozi di accessori per la casa e ferramenta, ha palesato un calo delle vendite al di sopra delle promesse. Più in generale, i dati dei consumi di aprile hanno fatto registrare un andamento inferiore a quanto ipotizzato: un segnale chiaro che le famiglie stanno facendo di conto.

Tra inflazione e recessione

Guardando anche a questa parte dell’Oceano – in Italia lo sappiamo bene – la spirale inflattiva incide sui conti delle famiglie e sui consumi, nonostante gli sforzi della grande distribuzione alimentare di “calmierare” i prezzi a colpi di sconti e promozioni. La Gran Bretagna – che ha già messo mano al rialzo dei tassi di interesse – ha esibito un valore dell’inflazione da record, ai massimi dai tempi del governo di Margaret Thatcher (stiamo parlando di circa 40 anni fa. Più in generale, se in Europa le prime avvisagli di un intervento della Bce appare in agenda a luglio, negli Usa il presidente della Fed, Jerome Powell ha assicurato che “non esiterà” ad aumentare i tassi al di sopra della neutralità, se necessario, pur di arginare l’impennata dei prezzi. Più in generale, la vera apprensione riguarda i possibili venti di recessione (le stime di crescita sono state a dir poco dimezzate ovunque per il 2022) che potrebbero iniziare a spirare. Negli Usa, sottosegretario al Tesoro, Janet Yellen, ha detto di non aspettarsi una recessione negli Stati Uniti, malgrado la fiammata dei prezzi dell’energia e la guerra in Ucraina. Ma l’Europa, proprio sul fronte del rincaro dell’energia, del gas e delle materie prime risulta con il fianco decisamente più scoperto.