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La vicenda tra il Garante della privacy italiano e OpenAI ha fatto scuola. L’azienda che sviluppa il chatbot ChatGPT ha dovuto modificare, migliorando e potenziando la privacy della piattaforma, per poter continuare a proporla in Italia dopo che l’Autorità italiana ha rilevato oggettive e pesanti violazioni della legge europea sulla privacy (GDPR). Ora Google attende a portare il chatbot di Bard in Europa per colpa del GDPR. Ora, se il problema delle IA è che in una parte del mondo esiste un corpus legislativo stringente sulla privacy e la tutela degli utenti on-line, ci sono problemi ben maggiori e più estesi che vanno affrontati. Ma soprattutto, possibile che negli altri Paesi fuori dall’Europa, perfino nell’illuminata democrazia poco democratica statunitense, non si pongano questi interrogativi sulla privacy? Oppure le leggi sono così scialbe e scorporate da permettere violazioni? Sì, violazioni: stare lontani dall’Europa per il GDPR significa ammettere che i chatbot non rispettano le leggi e che Bard qualche problemuccio nel rispettare la privacy ce l’ha. È implicito nel ragionamento di Google: “Ci espanderemo gradualmente in altri Paesi e territori in modo coerente con le normative locali”. Alias, partiamo da dove la gestione della sicurezza degli utenti online è più blanda e nel frattempo ci struttureremo dove invece ci sono leggi dedicate.

Che pessima figura. Che pessima figura per tutti quelli che vedono nella IA il futuro e l’innovazione non facendosi domande ma puntando su ipotesi non verificate e non verificabili. Che figuraccia per chi ha criticato in lungo e in largo l’operato del Garante della privacy, tacciandolo di riportare l’Italia nel medioevo (come se fosse la IA che proietta l’Italia nel futuro e non imparare le cose più basilari, come l’educazione di rispettare la coda o accettare ovunque la carta di credito facendo lo scontrino). Per poi salire sul carro dei vittoriosi. Prima sostenendo che per OpenAI era impossibile modificare ChatGPT. Poi, a fronte di modifiche enormemente migliorative per l’esperienza d’uso e la tutela dell’utente, elogiare il Garante per l’intervento benefico. Che vergogna non vedere che la IA ha enormi problemi che vanno risolti.

Enormi problemi di tutela dello spazio privato, delle informazioni raccolte, della privacy, della sicurezza, della tutela dei minori, dell’affidabilità delle informazioni, della misinformazione imperante nel suo uso, nell’incapacità di controllare dove e come sono trattati i dati che vengono trasferiti attraverso il chatbot diretti a chissà quale serve posizionato dove nel mondo e così via. Tutte questioni aperte che, non a caso, stanno allarmando i governi nazionali e continentali. La UE sta organizzando i Paesi membri affinché adottino una legge che regoli la IA in Europa in aggiunta e a integrazione del GDPR, che regola la privacy delle piattaforme on-line e non nel specifico il servizio offerto. Questo fa pensare. E fa paura a qualcuno.

Ma tornando al ragionamento iniziale, se il GDPR fa paura allora ci sono cose molto più profonde nella IA che vanno esplorare, capite, imparate e normate. Attualmente Google Bard è presente in 180 Paesi, nessuno di questi appartiene alla UE. Interessante scoprire il perché chiedendolo direttamente a Bard. La risposta spiana un orizzonte di ipotesi e analisi pressoché infinito. Basta leggerla:

In sostanza, lo stesso Google Bard rivela che il motivo per cui non è ancora nell’UE è il GDPR. Lo indica espressamente. Dunque, poiché Google non può attualmente garantire la conformità con il GDPR, Bard non è ancora disponibile nei paesi dell’UE. L’azienda sta attualmente lavorando per rendere il chatbot utilizzabile prima o poi nell’Unione europea. Oltre al GDPR, potrebbero esserci anche altre licenze e certificazioni che Google deve acquisire per far funzionare Bard nell’UE, continua il bot nella sua risposta.

Si legge ancora nella risposta di Bard: “Google si impegna a rendere Bard disponibile in tutto il mondo e sta lavorando alacremente affinché ciò accada il prima possibile”. Kafkiano che per ottenere questa risposta bisogna aggirare i vincoli del GDPR con una VPN così da accedere al chatbot. Abbiamo già espresso ampiamente la nostra idea nelle pagine di iGizmo.it, la situazione è sufficientemente esplicativa su quanto si stia sottovalutando la IA portando a vessillo la bandiera dell’innovazione a tutti i costi. Peccato che l’innovazione che non rispetta la persona non è innovazione: è imposizione ideologica piatta e categorica. Sostanzialmente inutile e dannosa.

Perché la IA non diventi una bolla di sapone estremamente costosa come il metaverso, del tutto inutile agli occhi dei consumatori, è bene che le suddette questioni vengano affrontate e risolte ora, per dare slancio e futuro alla tecnologia. E, alla resa dei conti, Google va premiata per avere atteso e per procedere con calma così che le leggi locali siano rispettate. Tutti problemi che non si è minimamente posta OpenAI finché non è stata costretta a modificare ChatGPT, sperando che bastasse una mera propaganda appiccicosa, pelosa e a tratti servile dei media. Per uscire dalla sfera del “giochino” un po’ sterile e ridondante del chatbot sono necessarie queste discontinuità. Bene che succedano, bene che si affronti la cosa in modo oggettivo. Come diceva Sir Francis Bacon: “Le cose si alterano per il peggio spontaneamente, se non vengono alterate appositamente per il meglio”.