smartphone riparazione fai da te
PANASONIC LUMIX

Dopo anni di lotte, negli Stati Uniti ma non solo, perché gli utenti potessero avere il diritto alla riparazione “fai da te” dei device mobili, ovviamente con pezzi originali e senza fare decadere la garanzia, nel giro di poche settimane brand del calibro di Google e Samsung hanno accettato di fornire componenti ufficiali di ricambio per i loro smartphone. Non solo, hanno firmato accordi con e-commerce di prestigio, tra cui l’affidabilissimo e unico nel suo genere iFixit, insieme alle guide e agli strumenti di riparazione dell’azienda.

E altri marchi seguiranno l’esempio dei due citati, come spiega Kyle Wiens, Ceo di iFixit: “Ci sono altri brand in arrivo”. È bene ricordare che Motorola è stato in realtà il primo a firmare accordi con iFixit quasi quattro anni fa, mentre Appple è pronta a fornire le componenti necessarie entro la fine del 2022, tanto in merito ai Mac quanto ai dispositivi mobili. Segno che l’era della riparazione dello smartphone e non solo, per anni vista come il “male assoluto”, potrebbe già essere iniziata e rappresentare una sorta di panacea.

“La cosa che sta cambiando il gioco più di ogni altra cosa è il punteggio di riparabilità francese”, afferma Wiens, riferendosi a una legge del 2021 che richiede alle aziende tecnologiche di rivelare quanto siano riparabili i loro telefoni, su una scala da 0,0 a 10,0, proprio accanto al loro cartellino del prezzo. Anche Apple è stata costretta ad aggiungere punteggi di riparabilità. Ma Wiens fa pesare il comunicato stampa di Samsung nel quale si esplicano i dati di un sondaggio commissionato in Francia per verificare se i punteggi di riparabilità fossero significativi. I risultati dello studio sono sorprendenti: non solo Samsung ha scoperto che le scorecard sono utili agli occhi dei consumatori, ma anche che uno sbalorditivo 80% degli intervistati sarebbe disposto a rinunciare al brand preferito in favore di un prodotto con un punteggio più alto.

Il punteggio di riparabilità è visibile in basso a destra nella pagina del prodotto.

“Sono stati condotti studi approfonditi sulla scorecard e sta funzionando”, afferma Wiens. “Sta guidando il comportamento, sta cambiando i modelli di acquisto dei consumatori”. Gli fa eco Nathan Proctor, direttore della Campaign for the Right to Repair presso il Public Interest Research Group statunitense (US PIRG): “Sembra sfacciato dire al 100% (…)” che il mercato accetti le istanze degli utenti “(…) ma niente di tutto ciò accade se non ci fosse la minaccia di una qualche legge. Le aziende sapevano che il problema dell’autoriparazione era in essere da molto tempo ma solo quando non è stata organizzata abbastanza influenza da far sì che iniziasse a sembrare un servizio inevitabile, nessuno dei brand aveva programmi di riparazione dedicati e ora li stanno tutti annunciando”. Il Parlamento europeo ha appena votato la legge 509-3 a favore della richiesta all’UE di costringere i produttori a rendere più semplice e a portata degli utenti la riparabilità dei dispositivi.

L’inizio di una vera economia delle componenti per gli smartphone

“Penso che ci sia una crescente consapevolezza e rassegnazione che i telefoni dureranno più a lungo e non c’è nulla che possano fare al riguardo”, afferma Wiens. Anche Google potrebbe avere un incentivo finanziario per chi si “autoripara” il device, ammette Proctor. “Google è un’azienda enorme, enorme, ma le vendite di telefoni Pixel non rappresentano una parte importante del mercato, giusto? Possono però attivare dinamiche di vendica che vanno a intercettare bisogni e sensibilità più o meno latenti in Paesi in cui non sono l’attore dominante”. La riparazione “fai da te” potrebbe essere una di queste dinamiche competitive.

Che dire dei motivi pratici per cui le aziende tecnologiche hanno ostacolato il diritto alla riparazione in passato, le preoccupazioni per i consumatori che forano accidentalmente le batterie o si rompono i telefoni e costringono aziende come Google o Samsung a gestire più chiamate di supporto? Wiens dice che sono un po’ esagerati. Ma afferma anche che è per questo che queste aziende hanno scelto iFixit, perché il sito Web fornisce guide per la riparazione e strumenti appositamente progettati che rendono le persone meno propensi a sbagliare.

Samsung, Google e persino Valve non stanno aprendo le porte a ogni tipo di riparazione, intendiamoci. Wiens afferma che iFixit non venderà schede con chip: le riparazioni del pcb non sono per ora ammesse nell’ambito del “fai da te” ma necessitano comunque l’intervento del brand. Come nel caso dei modelli di Pixel afflitti da bootloop: serve Google per risolverlo.

Google Pixel insieme agli strumenti iFixit.

È importante sottolineare che le parti più comuni dovrebbero effettivamente essere incluse nelle nuove offerte delle parti sostitutive proposte da iFixit, come schermi e batterie ufficiali; sempre il sito si è impegnato a supportare i telefoni più datati reperendoli anche quando sono fuori produzione. Sebbene sia difficile prevedere quanti di questi componenti avranno bisogno, i produttori stanno aiutando studiando con alcuni partner i dati per capire come e quanti telefoni hanno venduto, così da gestire lo stock delle componenti che possono essere riparate.

Wiens afferma che iFixit ha già centinaia di migliaia di parti in un magazzino esterno e si sta attualmente espandendo grazie a questi accordi. Wiens non dice se le aziende tecnologiche stanno sovvenzionando questi rifornimenti.

Anche se l’utente non avrà necessariamente bisogno di parti ufficialmente autorizzate per ogni tipo di riparazione, sembra che potrebbero esserci dei vantaggi. I kit di riparazione saranno forniti con lo stesso tipo di guarnizioni impermeabili pretagliate che Google e Samsung utilizzano per richiudere correttamente i propri telefoni. Questa è una delle richieste che i brand stanno facendo a chi poi venderà i pezzi sostitutivi. “Se lo fai bene, fai il sigillo tutto intorno, allora sei di nuovo a posto”, dice Wiens di iFixit.

Tra l’altro, la sostituzione della scocca probabilmente è un’operazione che andrebbe fatta ameno una volta all’anno, se on due, dal momento che l’adesivo che i produttori usano per impermeabilizzare gli smartphone tende a consumarsi nel tempo. Urti, anche minuscoli, usura, cambi di temperatura e così via tendono ad annullare il celebre indice IP che è garantito all’atto dell’acquisto.

Mantenere lo smartphone “in forma” per un tempo più lungo

Indipendentemente dal fatto che queste aziende vengano spinte o guidate, il risultato potrebbe essere lo stesso: si affaccia un’era in cui lo smartphone invecchia “bene” e può continuare a funzionare in modo soddisfacente per molto più tempo di quanto potrebbe altrimenti. Politici, governi, autorità di regolamentazione, azionisti e gruppi di difesa come US PIRG stanno esercitando pressioni al “fai da te” e questo potrebbe anche aprire nuove opportunità di mercato.

“Se il mercato dovesse cambiare e le persone tengono i telefoni molto più a lungo… alla fine le aziende cambieranno il loro modello di business e troveranno un modo per generare nuove occasioni di business, forse migliori dalla mera sostituzione del device con quello più nuovo, giusto?” dice Proctor, suggerendo che un telefono che dura potrebbe essere un altro modo per convincere i clienti a restare. “Sono solo incoraggiato dal fatto che questi incentivi siano ora un po’ più allineati con ciò che è meglio per le persone sul pianeta”.

Forse la riparazione “fai da te” non sarà un terreno affrontato con euforia dai brand e magari potrebbe anche essere un modo per creare manovre marketing, di certo crea i presupposti per un dialogo diverso e più articolato con il consumatore. Come nel caso dell’abbonamento hardware che permette di generare occasioni come nel caso del renting nell’automotive.

Il tutto andrò di pari passo con la costante e connaturata azione di creazione dei presupposti per passare rapidamente a nuovi modelli di device, come il sussidio e gli sconti per attuare il trade-in dell’usato. Però bisogna fare i conti con gli utenti affezionati a un modello che non è più prodotto: quando la batteria dell’iPhone mini (non più a catalogo) si esaurirà, l’utente avrà la garanzia di poterla sostituire da solo. Se ciò non fosse possibile, proprio tra questi utenti si concretizzerà la domanda per modelli di smartphone riparabili “a casa” e, come detto poco sopra, questo nuovo consumatore è molto meno fedele al brand.